Donne nei CDA delle aziende: progressi dopo la Legge Golfo-Mosca
Nel luglio 2011, l’Italia ha compiuto un passo storico verso la parità di genere nelle posizioni apicali delle imprese, approvando la cosiddetta Legge Golfo-Mosca (n. 120/2011). Questa norma ha imposto, per le società quotate e le controllate pubbliche, l’obbligo di rispettare una quota minima di genere nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali. Nello specifico, ha introdotto un sistema a quote temporaneo – inizialmente per tre mandati consecutivi – che ha richiesto almeno il 20%, poi il 33% e infine il 40% di membri del genere meno rappresentato (quasi sempre le donne).
A più di dieci anni dalla sua introduzione, è possibile trarre un primo bilancio. I dati parlano chiaro: la presenza femminile nei CDA è cresciuta in modo netto e significativo. Ma al tempo stesso, emergono limiti, contraddizioni e nuovi fronti di sfida. Analizzare i progressi ottenuti – e ciò che ancora manca – è essenziale per capire quanto le politiche di genere possano incidere sulla struttura del potere economico e quanto sia necessario affiancare le leggi a un cambiamento culturale più profondo.
Cosa ha cambiato la Legge Golfo-Mosca?
Prima del 2011, la presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate italiane era inferiore al 7%. Una cifra imbarazzante per un paese europeo avanzato, in cui le donne rappresentano più della metà della popolazione e una quota crescente della forza lavoro qualificata. L’introduzione della Legge 120/2011 ha avuto un effetto immediato e duraturo: già nel giro di pochi anni, si è registrato un incremento costante delle donne nei CDA.
Secondo i dati della Consob e di istituti come l’Osservatorio sulle donne nei CDA di SDA Bocconi, nel 2023 la percentuale di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate italiane ha superato il 40%, raggiungendo e mantenendo la soglia fissata dalla legge. Un risultato impensabile fino a pochi anni prima. Inoltre, l’Italia è oggi uno dei paesi europei con la percentuale più alta di donne nei board aziendali, superando nazioni come Germania e Regno Unito.
La legge, dunque, ha funzionato. Non solo come strumento correttivo temporaneo, ma come leva capace di incidere sul sistema, aprendo nuove opportunità per le donne manager, professioniste e accademiche di alto profilo.
Quote rosa: una forzatura o una necessità?
Uno degli argomenti più ricorrenti contro l’introduzione delle quote di genere è quello della meritocrazia: secondo i detrattori, imporre una presenza femminile significherebbe sacrificare il merito sull’altare della rappresentanza. Tuttavia, l’esperienza italiana (e non solo) dimostra che questa obiezione non regge. Le donne nominate nei CDA dopo l’introduzione della legge hanno in media titoli di studio più elevati, esperienza internazionale e background professionali solidi. La questione, quindi, non era l’assenza di donne capaci, ma l’esclusione sistemica di queste dai circuiti di potere.
In questo senso, la Legge Golfo-Mosca ha rotto un tetto di cristallo, dimostrando che il cambiamento non avviene spontaneamente, ma richiede misure strutturali. Le quote hanno avuto un impatto positivo anche sulla governance aziendale, portando maggiore attenzione ai temi della sostenibilità, del welfare interno, della responsabilità sociale d’impresa.
I limiti della legge: cosa manca ancora?
Nonostante i progressi evidenti, il percorso verso una reale parità di genere nel mondo economico è ancora lungo. Le quote, infatti, hanno inciso sulla composizione dei consigli, ma non hanno modificato in profondità il sistema di potere aziendale.
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Le donne continuano a essere poche nelle posizioni esecutive: amministratrici delegate, presidenti operative, dirigenti con poteri reali sono ancora in netta minoranza.
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Nelle imprese non quotate o non soggette alla legge, la presenza femminile nei CDA rimane bassa.
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Il rischio di una “cooptazione elitaria” esiste: alcune donne sono presenti in più board contemporaneamente, mentre altre restano escluse, riproducendo dinamiche oligarchiche.
Inoltre, la scadenza originaria della legge – pensata come temporanea – ha sollevato il timore di un possibile ritorno alla situazione precedente. Per questo, nel 2019 la legge è stata prorogata e migliorata (con la Legge di Bilancio 2020), estendendo l’obbligo della quota di genere per altri sei mandati e portando la soglia al 40%. Ma resta aperta la questione: serve una norma permanente?
Il futuro: verso una cultura della leadership inclusiva
La Legge Golfo-Mosca è stata un punto di svolta, ma non può bastare da sola. Per garantire una parità duratura e sostanziale, è necessario lavorare su più piani:
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Educazione e formazione: sostenere percorsi di leadership femminile, mentorship e empowerment.
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Cambiamento culturale: smantellare stereotipi di genere, soprattutto nel mondo economico e finanziario.
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Politiche aziendali inclusive: adottare strumenti di conciliazione vita-lavoro, promuovere una cultura organizzativa basata su competenze, trasparenza e inclusione.
Non si tratta solo di giustizia sociale, ma anche di efficienza economica. Numerose ricerche dimostrano che la diversità di genere nei board migliora la performance aziendale, la capacità di innovare e la gestione del rischio. Le aziende con CDA più equilibrati prendono decisioni più ponderate, più inclusive, più sostenibili.
Una legge che ha fatto scuola, ma il cammino continua
La Legge Golfo-Mosca ha rappresentato un esempio virtuoso di come una politica pubblica ben disegnata possa incidere positivamente sul tessuto economico e sociale di un paese. Ha reso visibili le competenze delle donne, ha scardinato resistenze culturali e ha aperto la strada a una governance più inclusiva.
Tuttavia, per trasformare questi risultati in cambiamenti strutturali e duraturi, è necessario accompagnare la legge con investimenti in formazione, con l’ampliamento del suo raggio d’azione e con politiche di genere più ampie e trasversali. La presenza delle donne nei CDA non deve essere vista come un’eccezione garantita dalla legge, ma come la normalità di una società equa, moderna e competitiva.